L’Italia in Europa non riesce a difendere i propri prodotti di qualità. Arance e olio d’oliva ne sono esempi. Senza scomodare la Cina, chi conosce la situazione del mercato delle arance ha chiaro che la Sicilia ha un mercato potenziale enorme già in Italia ed in Europa. Un mercato che non riusciamo a coprire per motivi logistici, e per una spietata concorrenza interna, soprattutto della Spagna che riesce a garantire sui mercati centronord europei prodotti a prezzi molto più competitivi. In ragione di una logistica ben strutturata e di una organizzazione che al nostro comparto manca. Rispetto alla Spagna abbiamo anche il problema delle arance marocchine che entrano facilmente come prodotto spagnolo. E più in generale politiche di dazi che negli ultimi anni hanno reso sempre più facile l’ingresso di prodotti agricoli del Nord Africa in Europa. Il disegno europeo è chiaro: serve abbassare le barriere perché la Germania ha bisogno di nuovi mercati e, mentre le produzioni agricole del sud Europa entrano in concorrenza con quelle del Nord Africa, è indubbio che la produzione industriale europea può solo trarre vantaggi dall’export. Personalmente credo che la corsa alla Cina non sia la risposta strutturale alla questione agricola. E che sia piuttosto nell’interesse della Cina, che in questi anni ha avuto una forte attività protezionistica sul proprio mercato interno, provare a dare l’illusione che stia aprendo il mercato stesso. Io non credo che sia questa la strada, e se da un lato penso che dovremmo investire in innovazione e creatività, credo anche che lasciare i mercati europei spalancati ai prodotti a basso costo e bassa
qualità cinese sia un grande errore strategico. Dovremmo semmai alzare il livello protezionistico delle nostre produzioni agricole rispetto ai prodotti africani, e concentrarci sul mercato interno europeo, intervenendo sugli aspetti logistici che rendono più competitive le arance spagnole. Olio Un meccanismo simile si ripropone nel settore dell’olio anni l’Italia dell’olio extravergine d’oliva. Un settore dove L’Italia è ostaggio di decisioni e strategie assunte lontano da Roma e perfino da Bruxelles. Una situazione che non può che aggravarsi. Infatti se finora contavamo come il due di coppe a briscola, il futuro potrebbe essere anche peggiore.
Mentre il defunto governo gialloverde era impegnato a litigare, il tunisino Abdellatif Ghedira è stato confermato direttore esecutivo del Consiglio oleicolo internazionale, Coi in sigla, sede a Madrid, praticamente l’ Onu dell’ olio d’ oliva. Ma con pieni poteri di stabilire le regole del settore, a cominciare da quelle – delicatissime – che regolano l’intero sistema dei controlli.
L’investitura di Ghedira è stata possibile grazie all’astensione, decisiva, del rappresentante dell’Unione europea che conta più di un voto, visto che rappresenta Spagna, Italia, Portogallo, Francia e Grecia. Se il plenipotenziario di Bruxelles avesse votato contro la nomina sarebbe saltata.
La carica di direttore esecutivo sarebbe spettata all’Italia, in base al
meccanismo della rotazione delle cariche fin qui rispettato alla
lettera. I Paesi arabi invece, con la complicità della Spagna hanno
evitato che con il direttore italiano arrivasse al Coi una ventata di
trasparenza.
Da una posizione di forza il riconfermato segretariato esecutivo del
Consiglio oleicolo internazionale riproporrà sicuramente
l’allargamento delle maglie e lo sdoganamento degli oli dolci. Un
programma in netta antitesi con la progettualità italiana che invece
da tempo, a torto o ragione, ha puntato tutto sulla qualità.
Penso che ci sia bisogno di tornare ad affermare con forza che nel
settore agricolo e alimentare l’Italia ha una qualità che deve essere
difesa e tutelata dagli attacchi di produzioni scadenti fatte sbarcare
nel nostro continente in barba ai controlli della UE, occhiutissima e
iperselettiva con chi, come gli imprenditori agricoli italiani, rispetta
le leggi e a brache calate con chi non rispetta le più elementari
prescrizioni sull’impiego di pesticidi e costo della manodopera.