Da Capaci a Capaci


Dopo la strage di Capaci, quando la cappa del controllo militare della mafia era palpabile e asfissiante, quando l’omertà e la paura erano regole ordinarie, quei lenzuoli bianchi appesi spontaneamente ai balconi e alle finestre a Palermo e in Sicilia avevano un valore rivoluzionario e dirompente. Individualmente e silenziosamente, senza scendere in piazza, i cittadini si ribellarono alla dittatura del terrore mafioso. Non si ingaggiò una lotta diretta al potere delle cosche, ma ci fu una presa di coscienza talmente forte per cui le serrande abbassate fino a qualche mese prima lasciarono il posto a un segnale forte: “in questa casa, dietro a quel balcone, abita un siciliano che dice no alla mafia”.
Piccoli gesti, spinti anche da un senso di impotenza, che sommati divennero un potente messaggio collettivo. Il 19 luglio quel dolore silenzioso , che da sconforto urlava di poter diventare speranza, esplose in rabbia ai funerali del giudice Borsellino.
Quelle lenzuola non rimasero a lungo. Per anni il ricordo delle stragi del 92 fu celebrato da pochi, lungo strade deserte accompagnate da quelle maledette serrande abbassate.
Poi, pian piano, quelle celebrazioni divennero più partecipate, segno di una voglia di riscatto civile dal giogo mafioso.
Oggi, le Istituzioni appendono un lenzuolo bianco accanto al tricolore nei palazzi dello Stato, e chiedono ai cittadini di fare lo stesso.
Lo stesso stato che ha smantellato alcuni risultati ottenuti grazie al sacrifico di Falcone e Borsellino, che ha vanificato alcuni risultati importanti del maxiprocesso e dell’applicazione del 41bis; lo stesso Stato che ha ridato energia al dibattito sulla mafia non invitando a non  abbassare la guardia e portando a termine quella che era e rimane una guerra, ma lo ha alimentato con polemiche per aver scarcerato boss di primo piano, per aver ceduto alla pressione di rivolte nelle carceri gestite dalla criminalità organizzata, per aver usato a fini elettorali uomini e parole d’ordine della stagione della lotta alla mafia e, una volta al governo, utilizzare i ruoli chiave nella lotta alla mafia per piazzare uomini in ottica clientelare, cestinando quei magistrati che per anni erano stati usati come bandiere.
Uno Stato in cui CSM e Corte Costituzionale sono permeati da apparati della magistratura potenti e strutturati come lobby e centri di potere che tutto hanno a cuore tranne il perseguimento della giustizia e della legalità.
Oggi la mafia non è sconfitta, anzi… Si è ridisegnata, spara meno e gestisce interessi a livelli sempre più alti, rispetto agli anni 80/90 è sempre meno palpabile nelle strade e vive, più che mai, di relazioni istituzionali molto più forti, solide e ben occultate.
Come scritto in Catania bene” di Sebastiano Ardita “La mafia di oggi parla una lingua fatta di relazioni istituzionali, di azioni sottotraccia , di investimenti, non è affatto espressione di una linea morbida. È il suo esatto opposto. È un modello pericolosissimo di governo criminale che sa essere spietato, ma anche politico e strategico e quindi duraturo. È la Cosa Nostra che ha vinto e che è difficile disvelare tutta intera”.
Oggi, anziché cercare strategie e risultati più forti nel contrasto alle mafie, viene difeso in Parlamento un ministro come Bonafede e viene chiesto ai cittadini di esporre vessilli bianchi che sanno di resa.
Nel 1992 quella fu una protesta spontanea che rompeva uno schema fatto di silenzi e paure. Oggi, in un contesto giudiziario-statuale deprimente e desolante, istituzionalizzare i lenzuoli bianchi vuol dire declassarli da rivolta spontanea alla mafia a pura estetica celebrativa fine a se stessa, magari per distogliere le menti dalle polemiche dei giorni scorsi.
Se per un singolo cittadino è legittimo ribellarsi chiedendo speranza nella lotta alla mafia, lo Stato quella speranza non deve chiederla con lenzuoli bianchi, ma darla con gesti concreti. L’unico modo che ha lo Stato per ricordare e onorare gli eroi della lotta alla mafia, è cerare di portare a termine e senza esitazioni quella maledetta guerra consacrata col sangue anche da Falcone e Borsellino.
Oggi, dopo 28 anni, dopo le scarcerazioni dei boss, dopo la distruzione dell’immagine e del valore dei ranghi più alti dello Stato e della Magistratura, quelle lenzuola dovrebbero essere nere.
Ancora oggi, dopo 28, celebriamo un lutto, una sensazione amara che prende il sopravvento sulla voglia di speranza.
Oggi lo Stato non rende onore a dei caduti nella lotta alla mafia, ma ne rinnova solo il dolore del ricordo alla luce della propria impotenza nel continuare quell’azione di contrasto alla mafia che Falcone e Borsellino, come tanti altri, pagarono con la vita perché abbandonati dallo Stato. Ieri come oggi.

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