L’Albero e le Radici.

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“Le fiamme di Isengard si spargeranno e i boschi di Tucboro e della Terra di Buck bruceranno. E quello che una volta era verde e bello in questo mondo sparirà. Non ci sarà più una Contea, Pipino”. “Il Signore degli Anelli”

Ridisegnare il territorio, favorendo lo sviluppo economico in un’ottica di sostenibilità. Dopo l’ideologizzazione degli anni 70 e 80 e l’appropriazione della sinistra radicale del movimento verde in Italia, e la conseguente demonizzazione di visioni alternative della natura, nonostante oggi le formazioni verdi siano state cancellate dallo scenario politico-parlamentare italiano, il tema della tutela dell’ambiente torna ad essere centrale nel dibattito politico. Dallo scontro interno al governo giallo-verde sul TAV alle regate riccamente sponsorizzate regate di Greta Thunberg, l’attenzione sull’ambiente rivive una nuova stagione di protagonismo all’insegna della sloganistica e del modello di riferimento preconfezionato.

Il mondialismo generato dalle grandi ideologie massificanti del 900, il sogno di un mercato globale da un lato e di un livellamento verso il basso dell’individuo svincolato da classi religioni e nazionalità, hanno determinato un modello produttivo distante da un rapporto di sostenibilità con territorio e risorse, declassando la considerazione della natura a mera valutazione economica di risorsa da sfruttare.

Dopo la campagna antinucleare del 1986, che vide la nascita di Fare Verde, con il documento “Una questione di civiltà” la destra movimentista esprimeva una aspra critica al modello di sviluppo dominante, incentrata sul superamento del consumismo liberalcapitalista. Negli anni in cui Alex Langer teorizzava un movimento verde come

sintesi di valori e idealità sia di sinistra che di destra, si faceva strada l’idea di un nazionalismo verde, che nel rispetto della natura incarnava una visione del sacro e che dell’amore per la propria terra ne faceva il primo fondamentale enucleato dell’identità nazionale.

Va,però, riconosciuto che un approccio organico e culturale – e non ideologico- alle tematiche ambientali è sempre rimasto fuori dai palazzi che hanno visto governare il centrodestra; nelle coalizioni di governo degli anni passati non si è stati capaci di imporre una direzione diversa alle scelte di natura economico-ambientale.

La spinta sovranista che, dalle piazze e dalle urne, sta mettendo in discussione i cardini di un’Europa che, fino ad oggi, è stata puro appannaggio di banche e oligarchie economiche, impone l’obbligo di ridiscutere il ruolo dell’Italia nello scenario internazionale e gli indirizzi delle politiche produttive e della gestione del territorio.

Occorre ripensare il modello urbano in un’ottica moderna e a sempre minor impatto ambientale, attraverso una reale rivoluzione del ciclo della gestione dei rifiuti, per non offrire l’indegno spettacolo e l’inaccettabile insostenibilità di città, come la Capitale d’Italia, sommerse dai rifiuti. Ripensare il concetto di mobilità attraverso una visione organica ed integrata del trasporto di superficie pubblico con un decremento del ricorso a quello provato, al di là di spot isolati e provvedimenti a macchia di leopardo.

Davanti alla mortificazione delle produzioni locali, occorre rilanciare l’agroalimentare

attraverso politiche che puntino alla valorizzazione dell’agricoltura di qualità, evitando l’impoverimento di intere zone rurali e agricole ormai vittime della desertificazione di una postindustrializzazione fallita.

Parallelamente, occorre riqualificare i distretti industriali attraverso politiche di riduzione dell’impatto ambientale di impianti ormai obsoleti. Occorre ripensare il modello urbano in un’ottica moderna e a sempre minor impatto ambientale, attraverso una reale rivoluzione del ciclo della gestione dei rifiuti, per non offrire l’indegno spettacolo e l’inaccettabile insostenibilità di città, come la Capitale d’Italia, sommerse dai rifiuti. Ripensare il concetto di mobilità attraverso una visione organica ed integrata del trasporto di superficie pubblico con un decremento del ricorso a quello provato, al di

là di spot isolati e provvedimenti a macchia di leopardo.

Il superamento del gap infrastrutturale tra nord e sud e l’inserimento della nostra rete viaria e ferroviaria è la carta da giocare per un rilancio vero di ogni realtà locale. E, troppo spesso, l’abbandono di piani di sviluppo di aree depresse del mezzogiorno è passato dai niet di posizioni ambientaliste radicali, svincolate dal contesto territoriale e che, spesso, hanno favorito il consolidamento di vecchi monopoli che proliferano su radicati disservizi.

La TAV, il ponte sullo stretto di Messina: occasioni per imprimere una svolta ai collegamenti su strada, al trasporto di merci e persone e all’integrazione di territori troppo distanti dal reale contesto continentale. Sognare un modello di sviluppo forte ma integrato e rispettoso della vocazione e dei contesti locali. Un necessario segno forte,

che va addolcito e armonizzato, anche e soprattutto attraverso un approccio frutto della

nostra millenaria cultura estetica e organizzativa: “Ho trovato una città di mattoni,

ve la restituisco di marmo” (Marco Aurelio).

Autore dell'articolo: Alberto Spampinato

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