Cento tristi ragazzi morti. Nuove foibe, vecchie negazioni.

I resti di 250 persone trucidate ed infoibate nel Kočevski rog sono stati recuperati in Slovenia da una spedizione speleologica.

Il responsabile delle indagini, Pavel Jamnik ha accusato dell’eccidio l’Ozna, la polizia segreta jugoslava. Le squadre della morte facevano parte del suo braccio «operativo», il Knoj, Corpo di difesa popolare della Jugoslavia, che doveva «ripulire» le zone liberate.

Storie note, comuni a moltissimi ritrovamenti che negli anni hanno fatto lievitare i numeri di quella che si fa fatica a chiamare pulizia etnica, ma che lo è stata nei fatti e anche nelle cifre. Terribili.

Fra questi resti anche quelli di un centinaio di ragazzini di età compresa fra i 15 e i 17 anni, e 5 donne.

Anche questa strage finirà nel tritacarne della propaganda ideologica, ci sarà qualcuno che sosterrà la tesi che anche quei ragazzini fossero “fascisti”, che i genitori avessero combattuto a fianco del Reich, che, in fondo se la fossero cercata, che esiste un rapporto causa/effetto per la politica aggressiva dell’Asse, che in fondo alla presunta pulizia etnica si dovesse rispondere con un’altra pulizia etnica.

Occhio per occhio, dente per dente, fino alla settima generazione, colpendo colpevoli, presunti tali e anche innocenti, pur sempre colpevoli di essere Italiani o persino slavi, ma collaborazionisti o non abbastanza fedeli al Maresciallo Tito.

E’ sempre così quando si cerca di riannodare i fili della memoria delle guerre civili e degli eccidi dimenticati, figli dell’ira ideologica.

Si classificano anche i morti, tenendo aperti i cassetti dell’odio fino al punto di fare come le famose tre scimmiette, che non parlano, non vedono e non sentono neppure le voci bianche che da questa ennesima fossa della vergogna gridano il dolore di non aver potuto godere dell’età adulta.

Ci sono i poveri resti, ci sono le fotografie, gli effetti personali, persino centinaia di bossoli che raccontano di esecuzioni cruente “a bordo foiba”, come da tradizione dei fucilatori titini,l; ma questo non basterà a placare la furia negazionista di chi non vuole regalare al “revisionismo fascista” (è una roba che funziona sempre) neppure una tomba e quattro ossa sulle quali ricordare un parente, un amico, un Italiano dimenticato.

Per una parte tutt’altro che minoritaria della presunta intellighentia italica l’Esodo e le Foibe sono solo uno strumento ideologico della destra post-missina: e se anche fosse vero, visto che erano solo gli ex-missini a parlarne, perché fuori dall’arco costituzionale e non interessati a salvaguardare la logica di Osimo e l’accordo fra democristiani e comunisti, un popolo e una politica maturi non avrebbe dovuto “strappar loro di mano”, alla destra post missina, questo strumento? Non avrebbe potuto farne un argomento “nazionale”, repubblicano, di salvaguardia di una memoria storica “laica”, non confessionale?

Impossibile.

Impossibile in una Nazione che non vuole fare i conti con il proprio passato, perché certa politica trova più comodo e utile costruire sulla contrapposizione ideologica un nuovo nemico da gettare in pasto all’opinione pubblica e su queste dinamiche rigenerare se stessa.

E così anche cento ragazzini morti non troveranno pace, vagando fra le anime del purgatorio della storia, dove stanno i vinti: quelli reali e combattenti, passati subito per le armi, e quelli scomodi e “di comodo”, occultati e poi profanati, per giustificare ogni nefandezza e non mettere in discussione le “verità” preconfezionate.

Pace all’anima loro e siano maledetti gli imbalsamatori della storia.

Autore dell'articolo: Paolo Di Caro

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