Beati i “costruttori” di Governi?

I “costruttori”.

Comunque vada, sarà un successo. Per il PD: quello “originale” di Zingaretti e Feanceschini, ormai azionista di riferimento del governo rosso-giallo, oppure quello “primordiale” di Matteo Renzi, o ancora quello “azionista” di Carlo Calenda, sornione alla finestra. Chissà.

Quel che è certo è che anche un eventuale Conte-ter, raccattato nella palude mastelliana e dei tengo famiglia in Parlamento, segnerà l’ennesimo colpo di piccone sui 5 Stelle e la loro immagine da rottamatori del Sistema.

Rottamatori, rottamati, in un cul de sac dal quale è impossibile venir fuori senza farsi molto male.

E non sono tanto i sondaggi che li vedono in caduta libera, quanto i segnali esteticamente orribili che lanciano alla loro base elettorale, quella diffusa, delle ultime Politiche.

Una base fatta anche da gente normale, al netto di terrapiattisti e no-vax, che hanno davvero creduto che gli onesti avrebbero preferito per sempre l’apriscatole personale a là flûte di champagne alla bouvette.

La caccia ai “costruttori”, dipinti come preferibili (chissà perché) ai responsabili dei tempi di Razzi e Scilipoti, gli ammiccamenti a Clemente da Ceppaloni, all’improvviso bello, magro e presentabile, le veline di Casalino ai limiti del Wannamarchismo, con il comunicato sui centralini impazziti di Palazzo Chigi, ai quali il popolo e le bimbe di Conte chiamerebbero per esprimere solidarietà al super Presidente: sembra il copione di una parodia di Crozza, invece è la cronostoria delle ultime ore, quelle che ci separano dalla decisione di Renzi di far saltare il banco.

La crisi la comanda il PD, quindi, per manifesta superiorità.

I nipotini di Beppe Grillo scelgono la marginalità di sopravvivenza, il “laissez-faire” applicato alla politica e alla salvaguardia di un numero di parlamentari esorbitante rispetto all’attuale consenso nel Paese.

Parlamentari e clientes, amici, fiancheggiatori, piazzati nei gangli vitali e anche in quelli secondari della macchina amministrativa, con la scusa della sostituzione rivoluzionaria, in realtà per mero esercizio di potere e perché se “uno vale uno” anche “cento valgono cento”.

La crisi la comanda il PD perché la partita vera è l’elezione del Presidente della Repubblica, la ragione principale per la quale tutti sanno, a destra, a sinistra e pure al centro, che non si andrà a votare, a meno di un harakiri del PD, appunto.

Il mercato delle vacche di queste ore, senza i soldi di Berlusconi ma con l’altrettanto allettante prospettiva di mantenere le terga incollate a una poltrona che scotta, avrà il “merito” di resuscitare i Tabacci e i Mastella, pronti ad andare all’incasso e dire la loro, a sorpresa, nella partita del Quirinale.

Il silenzio dei grillini della primissima ora, quindi non è un caso. È un comprensibile sentimento di vergogna miscelato al senso di impotenza di fronte a un partito, quello Democratico, che anche balcanizzato da scissioni multiple, rimane radicato e centrale, nel bene e nel male.

Zingaretti e soci sanno bene che non si può votare, e non certo perché “c’è il Covid”, quanto perché al centrodestra verrebbero regalati in un colpo solo Quirinale e Palazzo Chigi, senza colpo ferire.

E allora meglio le schermate al centro della scacchiera con l’ex enfant prodige Matteo (Renzi), giocando a chi ce l’abbia più lungo, con i 5 Stelle a difesa del Re Conte.

Il Centrodestra abbozza, attende, chiede le elezioni sapendo di non poterle ottenere, a meno di un clamoroso errore dei propri avversari.

La democrazia, quella spesso sbandierata e che suggerirebbe di ricorrere alle urne quando il quadro politico non consentisse chiarezza e governabilità, resta sullo sfondo, con l’alibi della pandemia a tenere in piedi le future maggioranze a geometria variabile.

E quindi spostiamo le lancette e parlamentarizziamo la scacchiera: in Aula, martedì, sapremo se Conte tornerà a fare il Professore universitario, come vorrebbe Renzi, o se resterà lassù, Presidente del Consiglio sempre più ostaggio della Balena rosso-piddina. Come vorrebbe Zingaretti.

Una crisi, oggi più che mai, con connotati evangelici: “Beati i costruttori di Governi e di maggioranze variabili”.

Per loro, in nome della solita superiorità morale e quasi razziale della sinistra italiana, non c’è l’Inferno degli Scilipoti e dei Razzi, ma il Paradiso del “fine legislatura: mai”.

Autore dell'articolo: Henry de la Roche

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