Kjaer, il vichingo dal cuore d’acciaio

La virtù si nasconde spesso negli anfratti più nascosti di scenari divorati dal vizio.

Come il diavolo si dice si nasconda nei dettagli, anche nel patinato mondo del calcio di vertice si possono trovare esempi di assoluto valore, uomini che si scoprano “capi”, presunti gregari che ricevano le stimmate del Capitano.

È quello che è successo a Simon Kjaer, difensore centrale del Milan e della nazionale danese, diventato in una serata tragica una icona di quello che lo sport dovrebbe essere.

Eriksen, cugino calcistico e amico delle serate milanesi, crolla a terra senza un motivo apparente, immobile, con gli occhi sbarrati; nel panico generale e con la frenesia di chiamare i soccorsi, Simon gestisce le emozioni e fa quello che serve per salvare la vita al compagno, impedendo il soffocamento e anticipando le manovre salvavita che i sanitari porteranno a termine con l’aiuto del defibrillatore.

Come un guerriero vichingo Kjaer guarda in faccia la morte, la sfida e la rispetta, inibendo alle telecamere le immagini pietose di un ragazzo esanime e impotente.

E da vero condottiero trova anche la forza di proteggere gli affetti dell’amico che combatte, consolando la compagna con il gesto fermo e pietoso di un uomo dallo sguardo di ghiaccio e il cuore d’oro.

Il paradosso del circo pallonaro è anche questo.

Ti aspetti di trovare ventidue ragazzotti viziati, incapaci di provare emozioni e abituati a qualcuno che risolva i problemi per loro, ti ritrovi Simon Kjaer e la Danimarca, il massaggio cardiaco, lo scudo di protezione, la pietas dell’eroe nordico e persino il lieto fine.

È tutto quello che vorremmo dallo sport e che spesso troviamo nelle discipline meno gettonate, nei campetti di periferia e negli antieroi senza riflettori puntati addosso; è il patrimonio genetico e valoriale dello sportivo e delle sportive, quello che ti insegna la vita e ti fa affrontare le difficoltà, che ti abitua alla sfida, che ti marchia a fuoco il senso del cameratismo, che ti fa sopportare con dignità la sconfitta e non trasforma mai la vittoria in una orribile esibizione muscolare.

Il fatto di trovarlo, per una sera, nel calcio milionario, è uno spot gigantesco e inaspettato a una idea iconica dello sport, fatta di uomini e donne veri e vere, di cuori grandi, di passioni assolute e di valori che vadano oltre i fuochi fatui delle passarelle e delle riviste patinate.

Grazie, allora, a Christian Eriksen, al quale auguriamo di tornare in campo e poter raccontare questa serata.

E grazie a Simon, il vichingo venuto dal freddo, per aver spiegato a tutti noi cosa significhi essere un Capo nei fatti, con pochissime parole e con un grande esempio.

Autore dell'articolo: Paolo Di Caro

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