La calda (ennesima) estate della scuola italiana.

Esiste una nutrita rappresentanza di insegnanti per cui l’ultima campanella non rappresenta la fine della scuola e l’inizio di un periodo più rilassato (al netto delle consegne di fine anno, delle relazioni, degli scrutini, ecc, ecc), ma l’inizio di una nuova stagione piena di angosce e incertezze.

Docenti fuori sede (esodati, come sono stati definiti negli ultimi anni) e docenti precari, tutti accomunati da una domanda: dove lavorerò l’anno prossimo?

Chi non mastica di scuola forse immagina di tratti di una minoranza, un numero esiguo di persone, da non tenere nemmeno in considerazione.

E invece no: si tratta di una percentuale altissima di lavoratori che si aggira intorno all’80%.

Una percentuale che non differenzia più la tipologia di contratto, perché l’incertezza del domani è assolutamente e beffardamente uguale, sia che sul contratto ci sia la formula a tempo determinato, che nel caso dell’indeterminato.

La storia è sempre la stessa, ogni anno, ogni estate.

La mobilità è alle spalle e anche nel 2021 non ha riservato buone notizie: pochi posti al sud e movimenti limitati, forse anche più degli anni passati.

Adesso fari puntati sui prossimi 3 step: assegnazioni provvisorie, immissioni in ruolo (anche in questo caso per il sud i numeri si prospettano irrisori), e infine incarichi annuali dalle varie graduatorie.

In questo circo le scuole, da nord a sud, perdono la testa dietro ad organici che possono essere formati solo sulla carta, classi scoperte, posti di sostegno che non è chiaro come potranno essere riempiti.

E la continuità didattica dove la mettiamo?

Sono 4 i ministri che si sono succeduti in viale Trastevere in poco più di due anni; tutti animati dalle migliori intenzioni, tutti determinati a risolvere gli annosi problemi della scuola e dei docenti, tutti pronti a promettere un cambiamento di rotta nel campo del reclutamento.

Tutti costretti, alla fine, ad arrendersi all’evidenza: ovvero che il problema non si può risolvere, non almeno con le politiche attuate fin qui.

Ci hanno provato con vincolo quinquennale (poi divenuto triennale col Decreto Sostegni bis), capace però solo di creare malumori e proteste; perché, a conti fatti, il blocco dei docenti a cui è stata negata sia la mobilità che la possibilità di chiedere assegnazione per un anno, non ha prodotto un aumento significativo di posti per le immissioni in ruolo.

La storia delle assunzioni a tempo indeterminato dalle GPS (che intende sostituire il flop della call veloce di azzoliniana memoria), potrebbe risolvere una parte del problema, ma sempre e solo al nord Italia ed in larga parte per i posti di sostegno.

Il sud ha necessità di una politica diversa, perché è giunto il momento di affermarlo con forza: quella della mancanza di posti è una bugia storica pazzesca.

Lo dicono i numeri, ma quali?

Quelli degli incarichi annuali conferiti ogni anno, migliaia e migliaia fra infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado.

Se veramente si vuole fare la rivoluzione e allineare la situazione delle due Italie, allora bisogna trasformare almeno il 50% dell’organico “di fatto” in organico “di diritto”, in modo tale da consentire un numero adeguato di trasferimenti e immissioni in ruolo.

Capitolo a parte merita poi il sostegno; a breve verrà ultimato il sesto ciclo di specializzazione che ha formato migliaia di nuovi docenti.

Va bene che col titolo potranno lavorare senza problemi, ma se i numeri delle immissioni in ruolo continueranno ad essere così miserevoli, con le graduatorie che traboccano di docenti specializzati, che senso ha continuare a bandire Corsi, a parte quello di riempire i conti delle varie università?

E ancora, ci chiediamo che fine abbia fatto il concorso riservato agli specializzati sul sostegno che venne inserito nell’ultima legge di bilancio.

Tranquilli, comunque: sulle questioni sostegno e concorsi (tutti) torneremo nelle prossime puntate.

Autore dell'articolo: Chris Grasso

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