Libertà violate? No, senso di Comunità.

Felice Giuffrè, Costituzionalista

Vaccini e libertà, Green Pass, diritto alla salute, Costituzione e privacy.

Si gioca tutto su questi termini il dibattito di grande attualità sul Green Pass e i recenti provvedimenti del Governo legati all’emergenza Covid e alla necessità di assumere decisioni che scongiurino nuovi lockdown e possibili conseguenze, stavolta letali, per l’economia della Nazione.

Ne abbiamo parlato con il Professore Felice Giuffrè, costituzionalista e Professore ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico, da qualche giorno anche Presidente della Commissione paritetica per l’attuazione dello Statuto siciliano.

Professore, si parla tanto di vaccini obbligatori e di green pass. Sono in tanti a invocare le presunte “libertà costituzionali” violate da un provvedimento di questo tipo. Lei cosa ne pensa, da costituzionalista?

La vaccinazione obbligatoria non è una novità nel nostro come in altri ordinamenti. Il diritto alla salute, secondo l’art. 32 della Costituzione è “diritto individuale” e, al contempo, “interesse della collettività”.

La disposizione, dunque, costituisce specifica declinazione in materia sanitaria del parallelismo tra “diritti inviolabili” e “doveri inderogabili di solidarietà” scolpito nell’articolo. 2 della stessa Carta fondamentale.

In sostanza, si vuol dire che nel nostro ordinamento non c’è diritto o libertà senza responsabilità verso gli altri e verso la propria comunità.

Non esistono, dunque, diritti o libertà assoluti, ma situazioni giuridiche che devono essere bilanciate e tenute in equilibrio con altri diritti o interessi costituzionali.

In materia sanitaria – come ha sottolineato la Corte costituzionale in alcune importanti sentenze proprio in materia di vaccinazione – l’ordinamento può legittimamente imporre, con legge o atto avente forza di legge, obblighi vaccinali o terapeutici in vista dell’interesse generale alla salute e, nello specifico, con l’obiettivo di immunizzare la comunità contro certe malattie.

Naturalmente la comunità organizzata (e, dunque, il sistema sanitario e assistenziale pubblico) deve farsi carico delle rare situazioni in cui i limitati rischi insiti in ogni trattamento vaccinale o terapeutico trovino, sfortunatamente, concretizzazione.

Per fare un esempio la massiccia campagna vaccinale antipolio degli anni cinquanta-sessanta, ha salvato migliaia e migliaia di bambini dalla malattia e dalle sue gravissime conseguenze (menomazioni o addirittura esistenze costrette all’immobilità, all’interno dei cc.dd. “polmoni artificiali”).

Tuttavia, in taluni rarissimi casi il trattamento vaccinale antipolio può portare a contrarre la malattia. In questi circostanze, secondo la Corte costituzionale, lo Stato deve farsi carico, con adeguati indennizzi, del pregiudizio patito dal cittadino che ha contratto la malattia. Ma l’interesse generale alla vaccinazione, come strumento di immunizzazione della comunità, permane e prevale sulle scelte individuali.

Come tutto quello che accade in Italia anche la questione vaccini è diventata un “derby” destra-sinistra. Vaccinarsi è di sinistra, dubitare (e strizzare l’occhio a chi sceglie di non vaccinarsi) è di destra. Le sembra possibile ridurre a questo una questione tanto seria?

Mi pare che una questione tanto seria – sia per i risvolti sulla vita e la salute dei cittadini, ma anche per le refluenze sulle prospettive di benessere e di sviluppo della comunità nazionale – non possa e non debba essere utilizzata per far crescere di qualche punto percentuale il consenso espresso nei sondaggi, magari alimentando paure irrazionali che montano nel mare dei social network.

Il fronte no-vax è, comunque, variegato e trasversale, attraversa la destra e la sinistra, con un denominatore comune che mi sembra molto preoccupante. Mi riferisco alla ipertrofizzazione dell’”io”, della scelta individuale che si assume “insindacabile”, anche a fronte di decisioni assunte dagli organi politici democraticamente eletti e sulla base di dati e pareri acquisiti dai competenti organici tecnico-scientifici. Dall’appartenenza ad una comunità organizzata in Stato derivano diritti e obblighi, libertà, ma anche responsabilità e dovere di accettare “rischi calcolati” in vista del perseguimento di interessi generali.

La sovranità dell’Io, la prevalenza dell’egoismo individuale sull’interesse generale non appartiene alla tradizione e alla cultura politica italiana.

Non fa parte della visione del mondo della destra e nemmeno ad una ideologia di sinistra. Questa esaltazione assoluta delle scelte individuali sulla dimensione comunitaria mi sembra una degenerazione. Il sintomo di un più ampio fenomeno di disgregazione dei legami sociali e di una concezione “ultra-liberal” per la quale l’individuo può essere e fare ciò che vuole, senza tener conto del contesto in cui vive ed opera, né dei legami con la propria comunità.

Le classe dirigenti, a mio avviso, dovrebbero, piuttosto, operare per ricostruire i legami sociali, mai come oggi messi a dura prova dai modelli culturali dominanti che spingono ad una concezione “atomistica” del singolo, libero di vivere e operare come crede in un mondo globalizzato. Occorrerebbe rammentare, al riguardo, che quando il singolo cittadino ha la necessità di una prestazione sanitaria o di un intervento per mettere in sicurezza un suo diritto non intervengono le “istituzioni” del mercato globale, bensì lo Stato con le sue articolazioni.

L’emergenza Covid ha posto numerosi problemi di limitazione delle libertà individuali e, probabilmente, tanti ne porrà. Quale pensa debba essere il confine fra libertà individuale e tutela della salute pubblica e quale dovrebbe essere il compito dello Stato.

Lo Stato, come ho già detto, deve assicurare il giusto equilibrio tra diritti e doveri, atteso che gli uni non possono esistere senza gli altri. Il punto di mediazione in materia di salute – così come in tema di sicurezza, di riservatezza, di libertà di iniziativa economica, di proprietà, di fisco, etc. – va fissato dagli organi democratico-rappresentativi e con i procedimenti fissati in Costituzione. Dunque, occorrono decisioni assunte con legge o con atto avente forza di legge e sulla base di indicazioni tecnico-scientifiche che provengano dagli organi competenti ad assicurare al decisore pubblico le necessarie informazioni. Il cosiddetto Green pass rappresenta un meccanismo di incentivazione “forte”, che non arriva all’obbligo puro e semplice. E’ una scelta politica che a me sembra legittima.

In altri casi, in passato, furono fatte scelte più rigide. Ultima considerazione: come elemento di chiusura del sistema vi è, comunque, il controllo della Corte costituzionale in termini di legittimità e ragionevolezza.

A decidere se i provvedimenti siano o meno costituzionali, dunque, non saranno i social e i costituzionalisti della domenica, ma la Corte. Al netto, ovviamente, delle considerazioni di natura politica e sulle scelte culturali, troppo spesso influenzate dalle ondate emotive che trovano spazio nel mare in tempesta della rete e condizionano in maniera insopportabile le posizioni politiche di chi avrebbe il dovere di assumerle nell’interesse esclusivo della comunità alla quale appartiene e verso la quale ha responsabilità importanti e non negoziabili.

Autore dell'articolo: Paolo Di Caro

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