Speciale Vinitaly: Etna, l’altro Continente.

Nunc (est) bibendum, inserto su vino ed enogastronomia di qualità, a cura di Fondazione Italiana Sommelier/Bibenda per la Sicilia.

Speciale Vinitaly 2022.

Una livrea elegante, il legno chiaro sul nero della lava, l’austerità dei produttori del Vulcano, abituati a calpestare cenere e passeggiare sulle “sciare” del Vulcano attivo più alto d’Europa: anche questo è ripartenza dentro lo scatolone del celeberrimo “padiglione 2”, quello che da sempre ospita la Sicilia del vino e racconta storie di piccoli e grandi vigneron, di famiglie intere votate alla viticoltura e alla cura della terra come di latifondisti che hanno accompagnato i destini di centinaia di uomini e donne di Sicilia.

E’ Sicilia questo lembo di terra scura dove le escursioni termiche raggiungono, in estate, una differenza di trenta gradi fra il giorno e la notte? E’ Sicilia questo panorama cangiante di sole cocente che surriscalda la pietra nera e vigneti imbiancati di neve quando il breve inverno isolano scarica ad alta quota la propria potenza di gelo? Sono Sicilia i vitigni a mille metri e oltre, i nodosi e immaginifici alberelli ultracentenari, le vendemmie ad ottobre e le finezze al palato inimmaginabili a queste latitudini?

E’ Sicilia, certo, ma innestata in un altro Continente nel quale ogni cosa è diversa, dal clima alle tecniche di coltivazione, dai ritmi e gli orari di lavoro in vigna fino all’iconografia e alla riconoscibilità cromatica: dovendo scomodare i grandi della pittura e delle arti figurative in generale, la Sicilia vinicola del sole e delle bollenti notti insonni è un dipinto di Van Gogh, gialli e rossi accesi, tratti lenti e decisi, oppure l’ombra lunga e metafisica di un quadro di de Chirico; l’Etna è molto più riconoscibile nei bianchi e neri dei maestri della fotografia, nei paesaggi bellici e postbellici di Robert Capa, nella pulizia del tratto di Emilio Greco.

Il padiglione 2 del Vinitaly è un mondo diviso in due, non più nella forma, ma nella sostanza.

Anche i visitatori vengono qui cercando “la Sicilia” quando vogliono sorseggiare i vini occidentali, perdersi nelle suadenti litanie dei Marsala di Duca di Salaparuta o incontrare l’opulenta sostenibilità e l’incontro fra tradizione e innovazione di Tasca d’Almerita, ascoltare fino allo svenimento gli appassionanti racconti di Carmelo Bonetta e di Baglio del Cristo di Campobello, oppure deliziare il palato con il nettare di Ben Ryè di Donnafugata, solo per citare i passaggi iconici e senza far torto agli altri appassionati produttori;

allo stesso modo cercano “l’Etna”, non la Sicilia, per soddisfare la curiosità di degustare un territorio e provare l’emozione sferzante delle irruenze giovanili del Nerello Mascalese e del Carricante, circondati dall’entusiasmo di uomini e donne che raccontano una storia millenaria con l’entusiasmo dei neofiti e i calzoncini corti di una collocazione troppo recente nella nobiltà internazionale del vino, ancora tutta da confermare e  consolidare.

L’Etna è potenzialmente un “crack” per il vino siciliano, del quale godrebbero anche i produttori che si confrontano con le difficoltà di fare vino nel deserto prossimo venturo, mentre si alza sempre di più la linea immaginaria a nord che consente impianti di viti pronte a generare qualità nel bicchiere; è una certezza che si respira passeggiando fra i padiglioni della Fiera e ascoltando gli avventori più smaliziati, i buyer e gli osservatori di settore.

Nella speranza che tutti gli attori in campo riescano a fare sistema e muoversi verso un obiettivo comune, senza rischiare le “bolle” tanto frequenti dalle parti di Scilla e Cariddi. Per fortuna sono passati i tempi della ostentata opulenza della Sicilia in Fiera, quando mamma Regione, con il supporto dell’allora Istituto Regionale della Vite e del Vino, gettava fumo negli occhi, spendendo e spandendo, fra veline e ristoranti gourmet.

Oggi la Sicilia e l’Etna la raccontano, essenzialmente, i vini.

Per fortuna.

Autore dell'articolo: Paolo Di Caro

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