Antonio Inoki, il lottatore “pop” degli anni ‘80.

E chi sarebbe questo Antonio Inoki?
Un gigante da un metro e novanta per 102 chili, con la mascella allungata e il volto da cartone animato, faceva irruzione con mutandoni colorati e muscoli in bella mostra dentro quegli scatoloni con il tubo catodico che erano le televisioni di fine anni ‘70 e inizio ‘80.
Lo sport praticato si chiamava ancora “Catch”, ma non era altro che il Wrestling, quel misto di atletismo e arte del combattimento praticato da atleti formidabili, esperti di arti marziali miste, con ampie concessioni allo spettacolo a beneficio del pubblico.
Lustrini, paillettes e urla sguaiate delle moderne, e apprezzatissime, americanate del WWE o della EAW, lasciavano il passo a questi manga scritti a bordo ring, a personaggi alla Inoki, appunto, la cui eleganza guerriera passava dalle palestre ai cartoni animati, dalle sfide semi-reali con sconosciuti giapponesini o con il primo Hulk Hogan, alla singolar tenzone con Tiger Mask o al super match contro l’Uomo Tigre.
La voce del Catch era quella di Tony Fusaro, la cui omonima società si occupava di doppiare proprio i personaggi dei cartoni animati, e fu lui a coniare espressioni come “laccio californiano” o “volo dell’angelo”, a descrivere le evoluzioni sul ring e i colpi di questi ragazzoni testosteronici che sdoganavano questo seguitissimo spettacolo da seconda serata su EuroTv.
E Inoki era lì, regale ed elegante, metà Samurai, metà cartone animato, appunto; quel ragazzino nato nel ‘72 lo aspettava sveglio, perché sapeva che gli altri si alternavano sul ring, Inoki lo occupava e lo nobilitava con quel suo faccione enorme, per vincere e divertire, con qualche concessione polticamente scorretta all’arte del combattimento ad uso e consumo del grande pubblico.
A carriera terminata, ma anche prima, Antonio pensò bene di darsi alla politica, diventando più volte senatore e ponendosi spesso come mediatore in controversie internazionali che coinvolgevano cittadini giapponesi.
In Iraq, come in Corea del Nord, l’obiettivo era quello di sfidare il male e provare a salvare vite.
Un uomo di pace, a dispetto dell’iconografia guerresca del personaggio televisivo e della montagna di muscoli scolpiti nella roccia.
Antonio Inoki, icona pop dei ragazzini degli anni ‘80, ha fatto l’ultimo inchino, a settantanove anni, piegato solo dalla malattia vigliacca che ne ha fiaccato ogni resistenza.
Eppure lo vedo ancora lì, su quel ring, nelle immagini sfocate della tv privata dei pionieri, guardare dal basso in alto il mastodontico Andrè The Giant e sorridere, prima di buttarlo giù per far esultare migliaia di ragazzini, felici di vedere l’ennesima storia di Davide contro Golia.
E certo, vi capisco: chi sarà mai, per voi, questo Antonio Inoki?
さようならアントニオ,

Autore dell'articolo: Paolo Di Caro

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